Da alcuni anni la criminalità minorile si sviluppa anche in contesti ben integrati nel tessuto sociale, cioè il gesto violento non è più solo appannaggio di ragazzi vissuti in contesti degradati, ma lo troviamo anche in contesti dove tutto sembra essere apposto, in ordine, dove c’è benessere e un’apparente normalità.
Il malessere del benessere
Questo fenomeno ho iniziato a definirlo con l’espressione “malessere del benessere”: cioè in queste situazioni il reato è il segnale di un malessere nonostante il benessere economico e non è più consumato nei luoghi della devianza tradizionale, non ha il fine di realizzare un vantaggio economico, ma trae origine da qualcos’altro, quel qualcos’altro che è ancora più difficile da identificare, pertanto è un fenomeno che interpella noi professionisti in modo nuovo e ci richiede di affinare nuovi strumenti di valutazione.
Dunque, in assenza di fattori sociali responsabili e di sindromi psichiatriche conclamate, per capire questi eventi bisogna fare riferimento a qualcosa di più vicino a noi, al nostro modo di vivere, alle nostre abitudini educative, al nostro modo di crescere ed allevare i nostri figli.
La domanda centrale: chi sono i ragazzi violenti?
Fatta questa premessa, vediamo chi sono e dove nascono i ragazzi violenti.
La risposta a questa domanda non può essere univoca. I fattori bio-psico-sociali che, sono alla base di ogni comportamento umano, possono giocare ruoli diversi.
Uno dei problemi centrali per entrare dentro ai comportamenti violenti agiti dai giovani riguarda la comprensione del rapporto tra fattori endogeni (genetici, temperamentali) e fattori esogeni (ambientali, familiari, sociali). Nessuno di questi fattori può essere ritenuto la causa se considerato in modo isolato. Il comportamento violento emerge come prodotto finale di una continua e reciproca interazione tra caratteristiche endogene del bambino, modalità in cui viene allevato dai genitori, tipo di personalità dei genitori, ambiente sociale di vita.
Il circolo vizioso tra rigidità educativa e fragilità affettiva
Facciamo l’ipotesi di un bambino dal temperamento difficile, con un genitore per il quale a causa delle proprie esperienze passate è difficile avere una relazione sintonica con il proprio figlio. Questo genitore potrebbe avere avuto esperienze traumatiche non risolte e, in conseguenza di ciò, il suo atteggiamento nei confronti del figlio potrebbe risultare poco idoneo a far fronte al temperamento difficile del bambino: la relazione assume così caratteristiche di eccessiva rigidità e tale rigidità si trasforma in una modalità di interazione che, anziché attenuare i problemi connessi al temperamento difficile del bambino, provoca una sua esacerbazione la quale, a sua volta, va ad aumentare nel genitore le difficoltà a svolgere il proprio ruolo di modulatore e regolatore del temperamento del figlio.
Il legame disorganizzato e la nascita della maschera violenta
Tra i due si sviluppa così un attaccamento disorganizzato, non coerente, che comporta la messa in atto nel bambino di strategie di evitamento che portano ad un rapido declino della frequenza degli scambi positivi tra lui e il genitore e questa povertà interattiva può risultare già evidente nella prima metà del secondo anno di vita e, in assenza di un attaccamento sicuro, anche gli episodi di rabbia, le reazioni negative del bambino, gli atteggiamenti oppositivi divengono più frequenti e fanno sì che il suo comportamento sia vissuto dal genitore come sempre più difficile, ne deriva un progressivo disimpegno reciproco che fa assumere ai genitori atteggiamenti punitivi come mezzo prevalente di controllo dei problemi comportamentali del bambino, per il bambino di conseguenza si riducono le possibilità di fare esperienza dell’altro come di un soggetto che si prenda cura di lui.
Questa situazione, ovviamente, impedisce al bambino di assumere quell’atteggiamento di curiosità e di esplorazione degli stati della mente dell’Altro che abitualmente permette di costruire una rappresentazione coerente ed equilibrata di se stesso. In mancanza di tale rappresentazione, egli sperimenta un continuo rischio di disintegrazione ed è così che il comportamento aggressivo assume la funzione di protezione del lato fragile di sé, diventa la maschera dietro cui si nasconde la fragilità del bambino e delle sue relazioni precoci che sono state deludenti.
Ci si può allora aspettare che il comportamento verso i genitori diventi sempre più negativo e che l’approccio dei genitori sia sempre più distanziante e coercitivo, costrittivo, forzoso.
Scuola e relazioni sociali: quando il modello familiare si estende
Gradualmente queste caratteristiche interattive tra bambino e i genitori vengono estese alle altre interazioni sociali, in particolare a quelle presenti nella scuola, dove ugualmente si può assistere – e spesso accade – a un’escalation delle strategie educative coercitive con punizioni sempre più severe e inconsistenti da parte di insegnanti di fronte ai problemi comportamentali del bambino che chiaramente si manifestano anche in quel luogo.
Il profilo dei ragazzi violenti: tratti, cause e dinamiche
In definitiva nei ragazzi violenti è molto facile che un temperamento predisponente si associ ad un comportamento genitoriale coercitivo, ruvido ed incoerente, che trasforma il tratto temperamentale in un disturbo stabile caratterizzato dal difetto di autocontrollo interno, dalla difficoltà a concepire le relazioni in termini di reciprocità empatica e dalla facilità ad assumere comportamenti violenti.

