L’autopsia psicologica: la scienza dell’invisibile
L’Autopsia psicologica è uno strumento clinico/investigativo che contribuisce a chiarire le dinamiche relative ad un caso di scomparsa, o in che modo è avvenuta la morte nei casi di suicidio, omicidio o morte accidentale, focalizzandosi sugli aspetti psicologici dell’evento (L. N. Eliopulos, 2008).
Le origini storiche e i primi studi
Secondo quanto riportato da Clark e Horton-Deutsch (1992), il primo studio di autopsia psicologica è rappresentato, con ogni probabilità, dalla ricerca psicoanalitica incompiuta condotta da Zilboorg su novantatré suicidi di agenti di polizia a New York City, tra il 1934 e il 1940, e descritta in un contributo a cura di Friedman (1967). La ricerca rispondeva all’esigenza, espressa in un primo luogo dal sindaco di New York, di comprendere il motivo dell’aumento di suicidi nella polizia e consisteva nell’approfondimento dei casi attraverso interviste a vedove e ad altri membri della famiglia (anni dopo la morte) da parte di un gruppo di ricerca composto da psichiatri, psicologi, assistenti sociali, sociologi, antropologi.
Una ricostruzione retrospettiva della mente
L’autopsia psicologica, in quanto finalizzata alla comprensione della mente suicida, nasce in ambiente medico-legale quando, negli anni Cinquanta del Novecento, il dott. Theodore J. Curphey, coroner di Los Angeles, chiese al team del Los Angeles Suicide Prevention Center (LASPC) di far luce sulle morti equivoche per capire quali di questi soggetti si fossero effettivamente suicidati e quali fossero morti per altre cause: fu così che lo psicologo statunitense Edwin S. Shneidman, insieme al collega Norman Farberow, si dedicarono allo studio del suicidio e della Tanatologia, per ricercare la natura dei molteplici suicidi che si stavano verificando in quegli anni, fornendo così uno dei primi approcci multidisciplinari al problema.
La definizione più esaustiva di tale strumento è rinvenibile in un articolo pubblicato dallo stesso Shneidman, nel 1961, il quale la definì come una “ricostruzione retroattiva della vita di una persona, capace di individuare aspetti che ne rivelino le intenzioni rispetto alla propria morte, fornire indizi sul tipo di decesso, sul livello (se vi è stato) di partecipazione alle dinamiche del decesso e spiegare i motivi per cui la morte è avvenuta in un dato momento”.
Quando non ci sono né corpo né scena del crimine
L’Autopsia psicologica, dunque, è un esame post mortem che non necessita né di una scena del crimine, né necessariamente della presenza del corpo della vittima, né di una serialità dell’evento, anzi resta l’unico ed indispensabile strumento da utilizzare proprio nei casi in cui non si hanno le condizioni appena dette. L’obiettivo principale è quello di raccogliere i dati riguardanti la vittima o lo scomparso al fine di elaborare un profilo psicologico della/o stessa/o.
E, attraverso una ricerca discriminativa di dati ricavati dalla storia clinica, dalle relazioni sociali ed affettive, dai rapporti di lavoro e da tutta una serie di altre fonti (scritti, diari, messaggi, e-mail, ecc…), si può giungere a stabilire una valida ipotesi probabilistica in relazione a un determinato evento traumatico, sia esso ascrivibile ad un omicidio, un suicidio, un incidente o una scomparsa (volontaria e non).
Questa tecnica non ha il solo obiettivo di raccogliere i dati riguardanti la vittima al fine di ricostruire un profilo psicologico (lo status mentale) prima del decesso, del suicidio o della scomparsa, ma anche quello di valutare se, e in che misura, queste specifiche condizioni psicologiche abbiano svolto un ruolo nella genesi dei fatti che ne hanno determinato la morte o l’allontanamento.