L’autolesionismo (o cutting) è una delle problematiche adolescenziali più diffuse a partire dai 12-13 anni di età (abbiamo esordi anche più precoci). Consiste nell’infliggere al proprio corpo ferite o lesioni di qualsiasi tipo: graffi, bruciature, contusioni, tagli con rasoi, coltelli, lamette, pezzi di vetro, forbici, compassi… Lo fanno perché ne hanno bisogno, perché sentono un impulso irrefrenabile che non sanno controllare, una sofferenza interna che non sanno gestire, che li invade, pervade e che devono scaricare sul corpo. Non sentono il dolore, a quello ci si abitua, ma devono distrarre il dolore mentale che è molto più intenso. Diventa un circuito, una sorta di droga, una dipendenza.
Il mito del desiderio di morte: l’autolesionismo come grido di sopravvivenza
C’è una tendenza a credere che chi si autolesiona lo fa perché prova a morire, invece è esattamente il contrario: è il tentativo disperato di sentirsi vivo, di lottare contro la sofferenza psichica, l’angoscia insostenibile, la rabbia esplosiva, il senso di vuoto che sente, la sensazione di non esistenza.
Il taglio avviene in un momento di forte tensione emotiva, di ansia, di rabbia, dove si configura uno stato dissociativo insopportabile che la ferita serve proprio a colmare (nel cutting infatti, è presente una grave dissociazione mentale, cioè una scissione vera e propria tra mondo cosciente e mondo incosciente).
Perché il dolore fisico “funziona”: controllo, sollievo e dipendenza
Subito dopo l’incisione e la vista del sangue che sgorga, ricompare uno stato di tranquillità. Si scarica tutta la tensione e la persona si ritrova a vivere un senso di torpore e di rilassamento come se avesse subito uno shock. Che cosa succede, infatti? Da dove deriva questo stato successivo di benessere? Dal fatto che non solo il sangue che sgorga è sinonimo di vita e il dolore che si sente sulla pelle urla “sei ancora vivo”, ma accade anche che il dolore mentale, intenso e insopportabile, viene spostato sul corpo e diventa un dolore fisico più sopportabile ma soprattutto gestibile: sono loro a decidere come, quando e in che modo fermarsi. Quindi vittime e carnefici di loro stessi, evitano in questo modo una catastrofe interiore che sarebbe ben peggiore di un male fisico.
Autolesionismo e bullismo: un legame profondo e devastante
Purtroppo, la relazione tra autolesionismo e bullismo è veramente alta, circa la metà degli adolescenti autolesionisti subisce prevaricazioni da parte di compagni o di coetanei. Si viene presi di mira, schiacciati, denigrati per caratteristiche fisiche o psichiche, per alcuni tratti caratteriali, per i modi di essere e pensare che non sempre corrispondono alla massa. Quando si è autolesionisti si vive in uno stato di profonda sofferenza, di conflitti interni e spesso si arriva a odiarsi, a odiare il proprio corpo e tutto ciò che rappresenta.
Per comprendere davvero: la voce di chi vive l’autolesionismo
Salve Prof.,
le scrivo perché in altro modo non riuscirei ad esprimermi.
Mi scuso per il tempo che le farò perdere, visto che prevedo sarà molto lungo, ma ci sono tante cose da dire (si prepari, credo sarà abbastanza pesante), quindi parto dal principio.
Non sono mai stata a mio agio con me stessa e, di conseguenza nemmeno con gli altri, sono sempre stata quella ”strana” e ho sempre provato a non darci peso. Alle elementari ero sempre ”emarginata” dagli altri, e all’inizio si trattava solo di comportamenti fastidiosi e risatine, poi iniziarono le battute, i versi, fino ad arrivare agli schiaffi sotto al banco e andando avanti così.
Quando iniziai ad accorgermi che stava piano piano diventando troppo, provai a parlarne con mia mamma e la sua risposta fu: ”siete bambini, risolvetela tra di voi” e, potrà sembrare una cavolata, ma da quel giorno ho iniziato a chiudermi sempre di più in me stessa, subendo colpi e non sapendo come incassarli.
Mi sento così sola, ho provato a parlarne con A., I., G., e non ho risolto nulla, ci ho ricavato solo altri sensi di colpa che mi hanno portata davanti ad uno specchio a tremare, con gli occhi lucidi e una lametta in mano, perché non sento più nulla, sono vuota e l’unica cosa che mi fa sentire viva è il dolore.
Gli stessi sensi di colpa mi portano a non mangiare per giorni o a chiudermi in bagno per ore dopo essere stata a tavola. Piano piano la speranza che tutto si risolva sta scomparendo ed è per questo che sto urlando, forte come non ho mai fatto, perché nessuno ha mai ascoltato i silenzi, i pianti, le parole sussurrate, sto urlando che sono al limite e ho bisogno di aiuto, perché mi conosco bene e so che non resisterò per molto.
Non è tenuta a rispondere, è solo uno sfogo che volevo condividere, grazie e mi scuso ancora.

