indagini su persone scomparse

Indagini e scomparse: come si ricostruisce la verità quando una persona sparisce

Ogni attività legata ad un mancato rientro a casa di una persona impegnata nella sua ordinaria quotidianità, inizia nel momento in cui viene raccolta una denuncia di scomparsa. Già la stessa, nel suo contenuto – come spesso accade – può nascondere diverse verità: una scomparsa può infatti celare un omicidio, un sequestro di persona, un’istigazione al suicidio, un suicidio o un incidente; motivo per cui, spesso, contestualmente alle ricerche, parte un’attività d’indagine.


L’indagine retroattiva: l’archeologia del crimine

Nei casi di scomparsa, l’indagine assume il carattere di “investigazione retroattiva”. Ciò significa che, molto spesso, chi opera in questa fase si trova a ricoprire un ruolo simile a quello di un archeologo; ossia, come l’archeologo scava nel terreno alla ricerca di tracce e reperti per ricostruire ciò che è accaduto in un passato remoto, così l’operatore deve ricostruire, con i dati che recupera durante la sua attività investigativa, ciò che è accaduto ieri.  Questa similitudine mi piace particolarmente, perché da sempre sono appassionata di studi antichi e di archeologia, che è stata anche la mia prima laurea. Ed è forse proprio negli anni del liceo prima, e degli studi universitari poi, che ho iniziato ad allenarmi a scavare nel passato, ad andare alle origini, all’archè (ἀρχή), stimolando la curiosità, che è il sale della ricerca, dello studio, dell’approfondimento.


La passione per le origini e il valore della profondità

Questo è il motivo per cui mi affascina particolarmente la fase delle indagini, perché rappresenta il momento in cui bisogna capire, esplorare, entrare nelle viscere dell’evento, andare in profondità, per scoprire, procedendo a ritroso, ciò che è realmente accaduto. Ed è questo un momento estremamente delicato, perché un errore, una disattenzione, una trascuratezza o un’omissione, potranno non solo compromettere il buon esito delle indagini, ma anche pregiudicare un futuro procedimento – qualora dovesse instaurarsi – finalizzato alla definizione della verità.


Un errore può compromettere tutto

Pertanto, bisogna lavorarci con professionalità ed accuratezza, mettendo in campo tutte le competenze che il caso richiede, in un lavoro che deve essere di osmosi e di cooperazione.

Vernon J. Geberth[1], nel suo autorevole volume “Practical Homicide Investigation – Tactics, procedures, and forensic techniques”, riferendosi alla fase delle indagini, ripete più volte, come un mantra, una particolare espressione, addirittura spesso evidenziandola in giallo: Remember: Do it right the first time. You only get one chance. Ci ricorda, dunque, che nella fase investigativa bisogna essere attenti e scrupolosi, bisogna farlo bene la prima volta, senza tralasciare nessun elemento, perché abbiamo solo una possibilità. Bisogna spiegare tutte le forze in nostro possesso, in modo che non venga trascurato nulla in questa fase che è unica, circoscritta nel tempo, e una volta superata non potrà mai più darci risposte chiare, pulite ed incontaminate.


L’approccio rigoroso e oggettivo dell’investigatore

Va premesso come l’accertamento dei fatti, anche nei casi di scomparsa, debba necessariamente basarsi sulla ricerca di dati certi ed oggettivi, non su deduzioni personali e più o meno convincenti. La ricerca della verità basata su deduzioni sillogistiche, ipotesi suggestive e preconcette, in cui l’attenzione è data solo ad alcuni dati e non ad altri, è ben lontana da quel rigore ed oggettività di cui deve invece necessariamente nutrirsi l’attività investigativa.


La scomparsa non è sempre volontaria

Le indagini, anche nei casi di scomparsa, devono essere condotte con la stessa perizia utilizzata, ad esempio, nei casi di omicidio. Non va infatti mai perso di vista il fatto che la scomparsa spesso non è volontaria e, anzi, molte volte nasconde un reato, pertanto nulla sin dall’inizio può essere trascurato e sottovalutato.


La necessità di strumenti specifici per affrontare il mistero

Nel tempo si è compreso che non si può attraversare la scomparsa di una persona senza strumenti e professionalità che siano in grado di decodificare cosa ci sia dietro ad un mancato rientro a casa e cosa lo abbia determinato. E si è sentita la necessità insopprimibile di dare sia in fase investigativa, ma anche nella fase del processo ai giudici e alle altre parti – accusa e difesa – strumenti rafforzativi che possano, soprattutto quando di fronte ad una scomparsa le ipotesi alternative che si aprono risultano essere plurime, restringere il campo con la logica.


L’autopsia psicologica: comprendere la mente di chi è sparito

L’Autopsia psicologica è, per questi casi, uno strumento tecnico di fondamentale importanza: permettendoci di stabilire retrospettivamente lo stato mentale di una persona scomparsa e di individuare la presenza di eventuali traumi, indici di rischio e aree di conflitto, può guidarci nell’interpretazione e definizione di quell’allontanamento.


Indagare l’animo umano per avvicinarsi alla verità

Bruno Bonicatto, nel suo libro L’Autopsia Psicologica[2], scrive infatti: “Indagare le passioni umane, le motivazioni profonde che muovono gli individui e che possono determinare l’accadimento di un fatto, il ricoprire il ruolo di vittima o di carnefice, è compito fondamentale. Solo questa conoscenza, l’avvicinarsi alla stessa, ci può rivelare la possibile verità”.



[1] Vernon J. Geberth, a retired New York City Police Department lieutenant commander with over 46 years of law enforcement experience – Homicide and forensic investigations.
Vernon J. GeberthPractical Homicide Investigation – Tactics, procedures, and forensic techniques – BBA, MPS, FBINA Series Editor – Fifth Edition – p. XXIII
[2] Bruno Bonicatto, Teresita Garcìa Pèrez, Raineri Rojas Lòpez, L’Autopsia Psicologica. L’indagine nei casi di morte violenta o dubbia, Milano 2013 – pag. 52.


 

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